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Glastonbury 2025: l’urlo dei Kneecap contro il genocidio palestinese

Si può “fare arte” in un mondo in fiamme? Si può cantare a squarciagola dei propri piccoli drammi privati e rimanere in un gelido silenzio di fronte a un’intera popolazione sterminata? Sono domande le cui risposte, apparentemente semplici, si perdono nella notte dei tempi. Che l’arte e la politica non debbano necessariamente intrecciarsi, è stato detto spesso, specie da chi se lo poteva permettere perchè dalla parte vantaggiosa della storia.

Ma se l’arte “serve” a confortare il genere umano dalle sue più esistenziali e profonde sofferenze, come può non farsi carico di migliaia di voci che nel medesimo luogo e tempo conoscono solo fame, guerra, dolore, morte? Fortunatamente, anche in un’epoca in cui l’empatia sembra perdersi nella placida comodità di un’agiata vita capitalista, c’è qualche artista pronto a usare la sua voce per unirla in un grido collettivo.

Fonte: Scott A Garfitt/Invision/AP via Il Post

Sabato 28 giugno, il Glastonbury Festival è diventato il centro di una vera e propria tempesta mediatica e politica, dopo l’esibizione esplosiva del gruppo irlandese Kneecap. Davanti a una folla di circa 30.000 persone, i Kneecap hanno lanciato messaggi fortemente critici nei confronti del governo britannico e del Primo Ministro Keir Starmer. Il frontman Mo Chara, già in attesa di processo per aver mostrato una bandiera di Hezbollah durante un altro concerto, ha gridato:

“I’m a free man! Fuck Keir Starmer! We fucking love the English people – it’s the English government we can’t stand!”

Le dichiarazioni hanno scatenato reazioni immediate. Il gruppo, che ha ribadito il proprio sostegno alla causa palestinese, è stato accolto da una folla che sventolava bandiere della Palestina. I Kneecap hanno ringraziato pubblicamente gli organizzatori Michael ed Emily Eavis per averli mantenuti in lineup, nonostante le pressioni politiche.

Ma il gesto non è passato inosservato. La polizia di Avon e Somerset ha aperto un’indagine per possibili reati legati all’ordine pubblico, mentre il governo britannico ha definito gli slogan “disgustosi” e “inaccettabili”. Anche la BBC si è ritrovata nell’occhio del ciclone: ha scelto di non trasmettere in diretta l’esibizione dei Kneecap, ma ha invece mandato in onda quella del duo Bob Vylan, che durante il live ha inneggiato contro l’IDF (l’esercito israeliano), gridando “Death to the IDF”.

Mo Chara, frontman dei Kneecap, indossa una kefiah a sostegno del popolo palestinese. Fonte: Reuters

Di fronte all’ondata di critiche, l’organizzazione del festival ha dichiarato di non tollerare nessuna forma di incitamento all’odio o apologia del terrorismo, ma ha difeso anche l’importanza della libertà artistica. La BBC, sotto pressione da parte dell’opinione pubblica e del governo, ha espresso rammarico per non aver interrotto il livestream di Bob Vylan e ha promesso una revisione delle proprie policy.

Il dibattito si è subito acceso sui media: fin dove può spingersi la libertà d’espressione sul palco? È lecito trasformare un festival musicale in una piattaforma politica? Gli artisti hanno il diritto – o il dovere – di denunciare ciò che considerano ingiusto, oppure rischiano di alimentare odio?

Nel frattempo, Mo Chara dovrà comparire in tribunale il 20 agosto per rispondere alle accuse legate all’uso della bandiera di Hezbollah. I Kneecap, da parte loro, hanno negato ogni legame con gruppi terroristici e definito la vicenda “una campagna per mettere a tacere voci dissidenti”. Quel che è certo è che Glastonbury 2025 ha sollevato questioni profonde su libertà, censura e responsabilità, e sottolineato come la musica non possa e non debba mai rimanere uno spazio neutrale di fronte ai peggiori soprusi del nostro tempo.

L’unico estratto dell’esibizione dei Kneecap al Glastonbury Festival trasmesso dalla BBC.

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