C’è qualcosa di magico a livello temporale in un progetto come quello di Florence Welch.
È pop? Si, se pop si può definire ciò che è mainstream più nei risultati che negli intenti (How big, how blue, how beautiful, 2016: forse il disco più impacchettato e meno naïf). Il primo disco, Lungs (2009) è un successo immediato, sia in patria, che poco dopo oltre oceano.
Ogni scelta stilistica è spesso l’opposto di ciò che ci potremmo attendere da un prodotto capace di smuovere tali numeri. Accade, soprattutto nella nostra epoca, di provare nostalgia anche verso ciò che non si è mai vissuto sulla propria pelle. Non basta certo questo dettaglio per spiegare il trionfo dell’estetica floreale-retrò del progetto Florence And The Machine, ma sicuramente è un punto di partenza.
L’influenza del passato è uno strumento per rendere il presente senza tempo: probabilmente i brani di Lungs non risponderanno ai problemi della GenZ, ma offrono una possibilità di fuga da tutto ciò che appare come irrimediabilmente immediato.
Canzoni come I’m not calling you a liar (tratto da Lungs, 2009) non sembrano manifesti del sound della propria decade, ma forse proprio per questo non paiono nemmeno soffrire di una data di scadenza.
Gli arrangiamenti, innegabilmente eleganti, invadono le classifiche con un sound retrò post-hippie sporcato da insospettabili tinte dark pop. Fuori dal tempo e attuale, ma soprattutto contaminato, questo è l’attributo che permetterà la celebrazione del suono del gruppo londinese.
Florence percepisce i drammi che soffrono le persone del nostro tempo: alcuni sono drammi che affliggevano anche i nostri antenati, altri sono visceralmente attuali, soprattutto nel modo in cui sono raccontati (tra i tanti esempi Hunger, brano del 2018 tratto da High as hope, brano in cui Florence racconta con tragica lucidità poetica i suoi problemi con l’anoressia).
Non una semplice nuova Grace Slick (Jefferson Airplane), la voce della cantante britannica trae la sua massima forza dal potere mimetico dell’emozione. La potenza sonora e il fascino di una bellezza solare non sono per necessità volti d’allegria e di serenità.
Se si ascolta Lungs senza prestare attenzione alle parole, a tratti sembrerebbe quasi di trovarsi ad ascoltare storie primaverili.
Nei testi più drammatici le interpretazioni sono sorprendentemente leggere, forse questo fanno alcuni grandi artisti: saper cantare la tragedia di una tempesta con la gioia del racconto.
“I took a knife and cut out her eye / I took it home and watched it wither and die / Well, she’s lucky that I didn’t slip her a smile / That’s why she sleeps with one eye open, oh / But that’s the price she’ll pay”
“Ho preso un coltello e le ho cavato via un occhio /L’ho portata a casa e l’ho guardata mentre si appassiva e moriva /Beh, almeno è fortunata che non le abbia infilato un sorriso in faccia”
Da Girl with one eye (Lungs, 2009)
Lungs è un disco divertente, elegante, ironico, ma che non mente di fronte al dramma che può nascondersi dietro le vite degli esseri umani.
“A kick to the teeth is good for some / A kiss with a fist is better than none / A kiss with a fist is better than none”
“Un calcio sui denti ad alcuni va bene / Un bacio accompagnato da un pugno è mеglio di niente / un bacio accompagnato da un pugno è meglio di niente”
Da A kiss with a fist (Lungs, 2009)
Lungs piacerà a tutti: sarà un successo commerciale, un successo di critica, e avvierà una delle carriere più interessanti di questi anni.
Deve ancora arrivare il capolavoro della consacrazione totale?
Molti dicono così, ma siamo già a quindici anni di carriera discografica, quindici anni di uno spessore che il successo non ha mai scomposto.